venerdì 26 aprile 2013

Sveltine mediterranee

Affacciata alla grande finestra, gomiti sul davanzale. Sono scalza, e indosso solo una sottoveste nera, leggerissima. I capelli disordinatamente raccolti. Fa caldo. Molto caldo. E' una tipica giornata di Luglio, quasi mezzogiorno. Il Sole la fa da padrone, Gli Ulivi che circondano la casa non proiettano ombra. Le cicale cantano ipnotiche, mescolandosi al ronzio sommesso del grande ventilatore sul soffitto. (Se nomino l' aria condizionata a Nonna  chiama il Prete per farmi esorcizzare.)
 Al pianterreno Nonno, seduto in veranda, taglia i Fichi da mettere a seccare in terrazza. Chiacchiero con la mia amica Sara, che è giù in cortile. Lui, lui, lui entra in camera senza bussare. Mi volto, gli sorrido, e torno a parlare con Sara.

Si inginocchia dietro di me. Mi afferra i fianchi e mi morde le natiche. Penso sia un attimo, una specie di scherzo. Lo lascio fare. Ma non smette. Affonda i denti sulla stoffa della mia sottoveste e mi afferra la carne. Sembra impazzito. 
Con il viso continua a sollevare la sottoveste. Mentre le mani scorrono spasmodiche sulle mie gambe. sento il suo sudore e la sua barba sulla pelle. E la lingua. E le labbra. E i denti.
Cerco una scusa per rientrare. Ma lui, ormai in piedi attaccato a me, mi afferra i polsi trattenendoli sul davanzale. Vuole giocare. Vuole giocare con un'inconsapevole spettatrice, mentre mi fa sentire, inequivocabile, la sua erezione proprio in mezzo alle natiche. 
Devo controllare il respiro, l'espressione del viso. La voce. Mentre un rivolo di sudore scivola tra i seni.
Mi faccio un po' indietro, verso di Lui, perché Lei non si accorga delle Sue mani che mi abbassano le spalline, che non veda che ormai non ho più niente addosso. Scalcio via con i piedi la sottoveste attorcigliata alle caviglie, mentre le mani di Lui mi stringono il seno e la Sua barba mi tormenta il collo. 
La mia amica giù parla, parla. Il suono della sua voce, il cicalìo continuo, le ventole sul soffitto... Il suo respiro addosso...
Le faccio un cenno con la mano, farfugliando qualcosa che non capisco neanch'io. Non so se si è accorta di qualcosa, se è ancora qui o è andata via. E non me ne importa. Ho altro da fare, adesso! Mi tiro ancora un po' indietro. Ora da giù il mio volto non si vede più. Restano solo i pugni chiusi, sul bordo del vaso da fiori. Geranei rossi. Li odio. Ma a Nonna piacciono, dice che fanno tanto Italia, tra le Finestre verdi e le mura bianchissime della Casa.
Appena in Tempo!
Comincia a penetrarmi, mentre inarco di più la schiena. Procede lentamente.Troppo lentamente. E se spingo verso di Lui mi blocca, mi ferma. Vuol farmi impazzire.
Ho capito. Sto ferma. Ferma e buona.
 Finalmente comincia a spingere di più, più a fondo, staccando lentamente il resto del Suo corpo da me, tenendomi solo per i fianchi. Sento i Suoi occhi neri sulle spalle, sulla schiena, sul Culo. E mi piace. Mi sollevo sulle punte e glielo sbatto addosso ancora di più. (Grazie, Nonna, per le Lezioni di Danza Classica che mi hai obbligato a frequentare da bimba.) 

Ho voglia di girarmi, abbracciarlo e guardarlo mentre spinge dentro di me. Sudato, capelli appiccicati sul Viso. Occhi che mi mangiano. Labbra disegnate, semichiuse su denti bianchissimi. 
Vorrei. Ma è bello sentire che mi prende così. Perché può. E' bello sentirlo dietro. Senza ricami. senza baci. Maschio. Ed io Femmina. Sua.
I respiri adesso sono voci. Voci che sussurrano parole. Parole incomprensibili, oscene. Ma non per noi. Non per chi si appartiene da sempre. Voci sudate, come la nostra pelle. 
Ora Lui si ferma. Si ferma per un attimo. Un attimo eterno. Sembra quasi abbia smesso anche di respirare. Poi, d'un tratto, riprende a spingere. Piano. Piano. Vuol godermi godere. 
Affondo le unghie nel terreno umido di quegli orrendi geranei rossi. E mi muovo prendendolo tutto. Tutto, perché è mio.
Vorrei che venisse con me, adesso. Vieni con me, ti prego...
Adesso...
Cerco inutilmente di fermarmi. Di aspettarlo. Ma l'Orgasmo mi investe. Improvviso. Quasi inaspettato. Come uno schiaffo. Come una risata. Come un Orgasmo, insomma!
Caldo. Brividi. Colori. Lui mi stringe i capezzoli. E quel fastidio si mescola al Piacere facendomi urlare. Muovo i fianchi come danzando.
Il Suo respiro diventa un verso. La Sua voce. Quella vera. Quella "Da dentro".
 Si fa indietro. E lo sento. Duro, caldo, bagnato di me.
Mi giro e mi inginocchio. E' magnifico, il Suo Cazzo. Lo afferro con entrambe le mani e ci strofino le guance, la bocca, il collo. Lo adoro. 
Esplode. Sul viso. Sui capelli. Sul seno. Sorrido mentre lo Sperma caldo mi scivola addosso. Non saprei definire la sua Voce, adesso. E' come un respiro, un lamento trattenuto. Chiude gli occhi, forte, e sporge le labbra come per baciare l'aria. 
Poi, con gli occhi ancora chiusi e il viso rilassato prende la mia testa tra le sue mani e mi accarezza il viso, sporcandosi. Si inginocchia di fronte a me e mi bacia dappertutto. 

Ci stendiamo lì, per terra. In silenzio. Sul grande tappeto di seta. La tenda in pizzo ricama i nostri corpi abbracciati. Che Opera d'Arte che siamo, Amoremio!

La Vita Vera, quella che ci vede estranei, ci aspetta fuori. Possiamo ingannarla ancora un po', adesso.     Hai fame? 
                                                   
                                                   Fine.







lunedì 15 aprile 2013

Tempismo




So che adesso drogarsi è obsoleto. Ma ai miei Tempi se non Ti drogavi non Ti accettavano neanche all'Azione Cattolica.

Io all'inizio non volevo. I miei erano preoccupatissimi: a 16 anni ancora non mi ero neanche mai ubriacata. Ogni volta che incontravamo i miei cugini, tutti emaciati, con le occhiaie, gli occhi persi nel vuoto, i miei abbassavano lo sguardo e facevano finta di non averli visti. Ogni tanto mi riempivano di botte, sempre per il mio bene, in modo da farmi venire almeno qualche livido e l'aria triste, per uniformarmi ai miei coetanei. Ma non ci cascava nessuno:
il marchio dell'Infamia ce l'avevo addosso: Aspetto sano, mediterraneo, florido. Insomma, come dicevano tutti, con aria di compatimento, "Beddhra, Sincira Sincira!"


In Paese venivo additata ed evitata da tutti, come un'appestata. Eravamo soltanto io ed il mio amico di sempre Mauro,  "Quelli strani". Ci vedevamo di nascosto perché le nostre famiglie si accusavano a vicenda: "Tuo figlio ha rovinato mia figlia!"- "No, Voi l'avete educata male: la Nostra Famiglia vanta un sacco di Caduti con onore, per overdose!" Le solite cose, insomma.

Un giorno costrinsero il mio amico a frequentare i Salutisti Anonimi. Dopo due mesi cominciò, giustamente, ad evitarmi: Avrei potuto farlo ricadere nel Non-Vizio.
 Finita la cura si trasferì in Colombia e non tornò mai più.

I miei, dopo aver fatto di tutto per curarmi, erano distrutti. Fisicamente, moralmente ed economicamente.

 Mio fratello aveva avviato un'Agenzia di Formazione per Pusher Professionisti e faceva finta di non conoscermi.
 Ero sola. Schifata da tutti. Se mi fermavo in un angolo per più di tre minuti pure i cani mi pisciavano sul piede. 

Così, una notte, andai via.


 Avevo sentito parlare di una Comunità No Profit che si occupava di casi disperati come il mio.

 Furono quattro anni difficili. Ma quando andai via ero una Larva: Missione compiuta! 
Tornai nel mio Paese quasi in fin di Vita. Ma non mi importava: Volevo che Papà e Mamma, finalmente, fossero fieri di me! 

Mentre strisciavo per Terra, tra visioni di topi, scarafaggi  e addirittura un Banderas Versione vecchio mugnaio che parlava alle galline (MaquantaDrhogaHmierofatta?!) e dolori lancinanti, qualcosa non mi tornava: c'era un'aria strana, innaturale. Ma avevo pensieri talmente flebili e vaghi che non riuscivo a cogliere. L'unica cosa certa è che i cani, comunque, mi avevano riconosciuta, visto che mi pisciavano addosso come quattro anni prima.


La Realtà, in tutto il suo squallore, mi si parò davanti all'Improvviso. I miei che piangevano disperati mentre mi raccoglievano da terra. La corsa verso quella che un tempo era l'Agenzia per aspiranti Pusher, diventata nel frattempo Clinica di Disintossicazione, mio fratello in camice che ne era il Direttore. 


Drogarsi non si usava più. Erano tutti sani. E quello stronzo di mio Fratello sempre sul pezzo. 

Io ero la solita fallita fuori luogo e fuori tempo e, come al solito, non avevo capito un Cazzo. 
                                                                                            Fine

Morale della Favola:

                                     A volte gli amici vanno via senza salutare. E Tu resti qui, ad inventarti storie assurde per fartene una ragione.
 Ciao, Mauro.